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Difesa

LA COMPONENTE ANARCHICA NELLA
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA
DEL LAVORO (1944 - 1960)

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Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n. 53 aprile 2020

 

CAMPIONE DI RESISTENZA

l'apparente paradosso del capitalismo che si rigenera attraverso la distruzione di beni mobili ed immobili, compreso la morte delle persone, tutti considerati alla stessa stregua di merci.

Questa crisi sanitaria dovuta alla pandemia del Corona virus-19 si somma alla grande crisi economica e finanziaria del 2008, dalla quale il capitalismo mondiale non ne era ancora uscito, e che aveva favorito oltremodo quel rimodellamento dei processi produttivi internazionali che aveva visto la nascita della "fabbrica del mondo" nella Cina ed nelle altre aree geografiche ad essa limitrofa del sud est asiatico quali Vietnam e Cambogia.

Contemporaneammente alcune economie nazionali nel vecchio continente, quali la nostra, hanno visto, dal 2008 e fino alla attuale crisi del coronavirus, uno sviluppo delle esportazioni che hanno garantito il non collasso del nostro sistema produttivo pur in presenza di migliaia di piccole e medie aziende (PMI) che chiudevano, scalzate e sostituite dalle lavorazioni a basso valore aggiunto cinesi, ma sostituite da aziende medie e grandi che si sono collocate nell'ambito dell'esportazioni.

Prima della crisi da corana virus, un terzo dei nostri prodotti venivano esportati. I nostri mercati principali erano e sono ad Ovest ovvero Francia, Germania ed Usa.

containers

Non esportiamo molto in Cina (circa il 3%) ma vendiamo ai tedeschi componenti che vanno a formare le vetture vendute a Pechino e Shangai; tutto il settore dell'automotive, presente nel nostro

Nord Est in particolare già in forte calo ed in crisi dal 2017 /2018 oggi è sostanzialmente fermo.

Stefano Manzocchi del Centro Studi Confindustria, nell'ultimo rapporto presentato il 31 marzo 2020 a proposito di questa ennesima frenata produttiva dovuta alla pandemia affferma: "Si rischiano di perdere oltre 50 miliardi del nostro export"

La tesi prevalente del padronato, a cui in questi giorni ha dato voce e volto Romano Prodi, ex presidente del Consiglio ed ex Presidente della Commisssione Europea, è quella che questa ennessima crisi allenterà e ridurrà le cosidette catene globali di valore (CGV) quelle che in questi anni hanno e sviluppato e favorito la nascita dei famosi corridoi della logistica e dovrà essere maggiormente favorito un commercio internazionale per singole aree economiche, cioè ASIA , Europa, ed USA.

La previsione ma soprattutto l'auspicio è quella che queste diverse aree economiche dovrebbero cercare una sorta di autossufficienza non delegando più ai Paesi asiatici la produzione ad esempio dei principi attivi farmaceutici o della famigerate mascherine e nemmeno delegare ai soli USA la produzione di ventilatori per la respirazione nelle terapie intensive.

Uno scenario di questa natura presuppone una politica industriale coordinata, un "reshoring" (un rientro delle produzioni delocalizzate) diretto verso zone dell'Europa con salari e stipendi ragionevoli e la possibilità di generare, almeno nel campo delle infrastrutture della sanità e del digitale, una domanda europea.

A fronte di questi auspici, Fedele De Novellis "economista partner" di Ref Ricerche, centro studi bocconiano, molto più prosaicamente afferma : "Bisognerà vedere con quale tempo i divesi Paesi e le diverse aree usciranno da questa crisi. Per il settore farmaceutico e l'alimentare è molto probabile che si vada ad una regionalizzazione degli scambi nelle areee Asiatica, Usa e Europa, ma per la grande fame di domanda che ci sarà nessuno vorrà allontanarsi dalle grandi catene del valore " per paura di perdere posizioni.

Come si vede la preoccupazione maggiore del Padronato, anche in questi tempi di crisi ed emergenza sanitaria è l'economia, la loro economia, come conferma l'appello lanciato qualche giorno fa dalle organizzazioni Confindustriali del Nord, che rappresentando il 45% del Pil italiano, tende a condizionare fortemente l'esecutivo ad allargare i cordoni delle attività economiche sospese, affermando che "se le quattro principali regioni del Nord non riusciranno a ripartire nel breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia".

a fronte la crisi sanitaria ed economica limiti del riformismo nei confronti delle necessità reali delle masse lavoratici

Similmente al padronato ed ai molti "tink tank" che indirizzano e coadiuano la classe dominante anche le organizzazioni e le strutture di resistenza del movimento operaio, ancora esistenti e maggiormente radicate,sviluppano indicazioni e strategie che a partire dall'emergenza cercano di disegnare una nuova fase economica e politica successiva alla pandemia.

Dalla convinta adesione del Partito Democratico alla logica liberista trasformando nel più accanito sponsor e sostenitore delle privatizzazioni e della deregolamentazione dei servizi e dello stesso "Welfare State" diventato puro contenitore di lobby locali, spesso in lotta fra loro, la CGIL è forse una delle ultime strutture di massa che nella propria elaborazione mantiene ancora un riferimento ed un afflato riformista.

Proprio per questa mantenuta capacità di elaborazione e sopratutto per la presenza tuttora radicata nel mondo del lavoro, la CGIL può condizionare e condiziona anche settori che, come vedremo, si pongono al suo interno su un terreno di classe e in opposizione alla maggioranza.

Il documento dal titolo "Dall'emergenza al nuovo modello di sviluppo. Le proposte della CGIL" rappresenta la summa delle posizioni, potremmo dire, progressiste di sinistra nel nostro paese ed per questo motivo che lo prendiamo a riferimento.

L'analisi centrale del doccumento parte dalla convinzione che un nuovo ciclo economico e sociale internazionale si stia determinando, che le categorie del liberalismo, con la loro esaltazione dello Stato minimo e la riduzione dei diritti universali sia finito; che occorra pertanto una nuova e significativa presenza dello Stato nell'economia che salvaguardi le condizioni di vita dei lavortori attraveso un opera di programmazione e di costante sussidiarità all'iniziativa economica privata.

cgilcisluilconfindustria

E' questa la vecchia e logora logica del patto dei produttori di staliniana memoria ed ancor prima di socialdemocratica memoria la quale diversamente declinata rimane sempre comunque l'orizzonte di riferimento anche di settori della sinistra sindacale.

Esponenti di tale area, senza alcun imbarazzo e senza alcun autocritica rispetto ad obiettivi e strategie già percorse nei cicli economici precedenti dove seppur la presenza pubblica fosse stata ampia e larga, (si pensi alle cosidette partecipazioni statali e al suo Ministero di riferimento soppresso solo nel 1993 o tutta l'elaborazione sulle riforme di struttuura del PCI e del movimento sindacale a cavallo degli anni '60/'70 del secolo scorso) non ha impedito lo sviluppo di situazioni di crisi economica e sociale gravissima, affermano che:

"E’ necessario reimpiantare un settore industriale e manifatturiero autoctono, che non sia il pulviscolo delle microaziende. Piccolo (piccolissimo) non è bello. C’è bisogno dello Stato imprenditore. Ma anche Regione e sistema delle autonomie locali debbono svolgere un ruolo decisivo. Bisogna allargare il perimetro pubblico..... La sfida di una nuova Iri, per una Regione come la Toscana che non si è mai veramente ripresa dalla svendita del sistema industriale a partecipazione statale, è una sfida decisiva....Occorre dotarsi di una Agenzia regionale per lo sviluppo che, non solo attraverso un sostegno di tipo finanziario ma raggruppando le partecipazioni ancora detenute da Regione e Comuni in vari settori - non ultimo nelle infrastrutture e nella logistica – agisca come vero e proprio soggetto imprenditoriale. .." (1)

A questa vecchia logica per altro dimostratasi sciagurata e perdente si associa l'ulteriore fallace convincimento che occorra, come classe dei lavoratori, farsi carico non solo degli interessi della sua parte, ma dell'intero Paese per una presunta incapacità storica di porsi come classe dirigente da parte della classe imprenditoriale nazionale. (2) Entrando nel merito del documento della CGIL leggiamo:

"Siamo ad un bivio della storia del nostro paese. .... Infatti, proprio l’emergenza sanitaria, la transizione ecologica e digitale pongono concretamente l’esigenza di un superamento dell’attuale modello di sviluppo fondato solo sull’espansione quantitativa delle merci, sulla produzione e sul consumo di beni prevalentemente individuali, sulla convinzione che la natura sia una risorsa pressoché inesauribile.........Per fare ciò serve un nuovo protagonismo di uno Stato che, non solo in questa fase straordinaria, non può svolgere semplicemente il ruolo di regolatore del «traffico» economico. Deve ergersi ad attore primario, dotarsi di strumenti come l’Agenzia per lo Sviluppo, una nuova IRI, che consentano di ricostruire le filiere produttive indicando le priorità e determinando le necessarie sinergie con il sistema della ricerca e il sistema produttivo.
Questo rinnovato ruolo pubblico non deve riguardare solo le politiche nazionali ma anche quelle europee. È l’ultima chiamata per l’Unione Europea. O ci sono risposte all’altezza della situazione
o non c’è Europa.Non è consentito alzare la bandiera dell’austerità, non sono consentiti
balbettii, ambiguità o vecchie ricette.

È necessario affrontare con estrema forza e rapidità la situazione economica e sociale: occorrono strumenti finanziari come gli eurobond, quale condivisione dei rischi; mutualizzazione del debito, investimenti e nessuna condizionalità e cancellazione del Fiscal Compact.

Occorre essere tutti sulla stessa linea di partenza: regole omogenee sul versante fiscale, rafforzamento del bilancio europeo con imposizione propria, investimenti in welfare e politiche industriali comuni." (3)

E' fin troppo evidente in queste poche righe riportate dal più ampio documento la funzione e la natura duale del sindacato riformista, che da una parte difende gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori ed è, contemporaneamente, agevolatore degli interessi del capitale nazionale risolvendosi in strumento politico di sostegno agli interessi imperialistici della borghesia nazionale.

Tutto il chiacchiericccio sul rafforzamento dell'Eurropa con una propria imposizione fiscale e sulla mutualizzazione del debito è solo un chiacchericcio buono per i comizi televisivi o domenicali in quanto è la lotta di concorrenza quella che spinge le diverse borghesie nazionali a "non allontanarsi dalle catene di valore" come ci ricordava il nosro economista bocconiano e sempre per l'accanita concorrenza fra le diverse borghesie nazionali che le strutture padronali non solo del nord ma tutta la struttura nazionale Confindustria sta facendo una grande presssione per riaprie più arttività possibile rispetto all'accordo raggiunto nel marzo scorso con le organizzazioni sindacali ed il governo.(4)

Marx

Di estrema attualità ritorna l’indicazione di Franz Mehring: “ Il modo di produzione capitalistico, che è in se stesso contraddittorio, genera gli Stati moderni e insieme li distrugge. Accentua al massimo i contrasti nazionali, ma trasforma anche tutte le nazioni secondo la propria immagine. Sul suo terreno questo contrasto è insolubile e per causa sua sempre ha fatto fallimento la fratellanza dei popoli tanto proclamata e decantata dalla rivoluzione borghese.
Mentre predicava libertà e pace fra le nazioni, la grande industria faceva di questo mondo un campo di battaglia quale nessun periodo precedente della storia aveva mai visto” (5)

rilanciare la prassi dell'azione diretta come strumento di lotta collettiva e strumento propeudetico ad un nuovo modello di sviluppo

Tale chiarezza di analisi oggi purtroppo è venuta meno, e come abbiamo visto anche nel dibattito e nelle posizioni di compagni e compagne sensibili e vicine alle sorti delle classi lavoratrici e alla sua prospettiva di affrancamento, verifichiamo che c'è chi invoca la necessità di aumenti di competitività e di produttività, poiché il "piccolo non sarebbe bello" e di un rilancio del ruolo programmatore e di indirizzo degli Stati, producendo merci con più valore aggiunto e prospettando, all’interno della competizione globale, una nuova accumulazione fondata sempre più su una ’”economia verde” se non addirittura chi privilegia un ritorno ad economie più piccole, locali, autocentrate, non energeticamente onnivore, rispettose degli equilibri ecologici.

A questi compagni e compagne vogliamo ricordare che le economie locali per potere essere una reale prospettiva di alternativa globale e non rimanere economie di nicchia, o splendide avventure personali per chi le pratica, devono rispondere ai bisogni reali non solo delle comunità, ma porsi immediatamente come modello universale di sviluppo.

pomodoro

Reclamare la “filiera corta”per gli ortaggi può essere cosa giusta e praticabile, ma altra cosa è garantire un livello standard e universale sui servizi, come l’istruzione, la previdenza, la sanità, la stessa mobilità, che rappresentando appunto diritti universali hanno necessità di essere coniugati globalmente, a meno di non ricadere in una versione edulcorata di sinistra della visione xenofoba e razzista leghista dell’“ognuno è padrone a casa sua”.

Inoltre senza affrontare la questione di quale struttura economica e sociale possa contenere la cosiddetta “filiera corta” o quella cosi detta a “Km.0 “, senza pensare cioè di incidere sul meccanismo di accumulazione del profitto, anzi prospettando, come abbiamo visto possibili alleanze con presunti ceti imprenditoriali illuminati, (il vecchio e logoro patto fra produttori) si possono anche produrre merci ecologiche e meno invasive dal punto di vista energetico ed ecologico, ma la contraddizione tipica della sovrapproduzione di merci, e dello sviluppo diseguale si ripresenterebbe in egual misura.

Ci sarà sempre un paese, una realtà territoriale che ha meno capacità produttive di altre; una classe operaia e masse lavoratici con più o meno diritti garantiti.

Il caos della produzione capitalistica, la ineluttabilità del meccanismo economico e del profitto aziendale, riprodurrebbe inevita- bilmente lotta di concorrenza, impoverimento di settori proletari, sovrapproduzione di merci, crisi economica e sociale.

merci con più valore aggiunto o un maggior conflitto di classe ?

Non a caso agli albori della nascita del movimento operaio organizzato l’Internazionalismo fu individuato come condizione necessaria per una battaglia di affrancamento dal giogo capitalista.
Se il padronato, così come il Governo ha a sua disposizione una massa di lavoratori che accetta di lavorare a ritmi maggiori, di lavorare più a lungo, aumentando gli orari giornalieri, una classe operaia frantumata e ricattata che accetta di lavorare il sabato o le notti aumentando in questo modo la produttività ed il valore aggiunto delle merci, perché innovare ed investire?

Se una nuova generazione di giovani ha oramai acquisito l’ineluttabilità di una prospettiva lavorativa precaria e sempre più incerta, per quale motivo si dovrebbe spendere quantità enormi di soldi per la formazione, per la ricerca di base o per la razionalizzazione dei processi produttivi?
Il determinismo economico della guerra commerciale e del mercato, non giustifi- cherebbe nessun investimento.

Dove si hanno lavoratori deboli ci sono merci con minore valore aggiunto.
Può sembrare un paradosso, ma è il livello della lotta di classe che impone e obbliga a scelte più impegnative dal punto di vista degli investimenti e della razionalizzazione dei processi produttivi.

Aumentare la produttività o il valore aggiunto, come anche una certa sinistra politica e sindacale afferma, è impensabile se al contempo non si tengono fermi i diritti, le condizioni normative e salariali dei lavoratori. Se la borghesia ha a disposizione una massa lavoratrice debole e ricattata, nessun investimento è necessario e possibile. Solo se la lotta di classe ed il conflitto obbligheranno i padroni ad investire ed a razionalizzazione i processi produttivi, l’aumento del valore aggiunto potrà non significare peggiori condizioni occupazionali, normative e salariali.

Maggiore è il conflitto di classe, e maggiori dovranno essere gli investimenti affinché le merci possano avere più valore aggiunto. Ciò significa mantenere fermi i diritti acquisiti, rivendicare sempre più una quota di quel valore aggiunto a favore dei produttori e delle nuove generazioni, distogliere quote di denaro dalle rendite verso i servizi .

Significa avere una politica di parte. Significa svolgere quella funzione "istituzionale" delle strutture sindacali e politiche che si rifanno al movimento operaio e che dovrebbe essere quella di garantire e sostenere sempre migliori condizioni lavorative e salariali dei lavoratori.
Nessuna politica di alleanza interclassista, di solidarietà o responsabilità nazionale può essere un buon viatico per le sorti e le condizione delle classi meno abbienti.

che fare

In coclusione prima di un presunto“che fare” diventa prioritario chiedersi quale blocco sociale vogliamo rappresentare. Quali interessi e diritti vogliamo tutelare. Se vogliamo rappresentare e tutelare gli interessi di una nazione, di un continente (l’Unione Europea piuttosto che gli USA o la Cina) con tutta la sua articolazione finanziaria economica e sociale, di gruppi industriali più o meno nazionali, o se ci interessa tutelare realmente gli interessi dei lavoratori, di tutti i lavoratori.

Occorre in sostanza avere rapporti di forza favorevoli alle masse lavoratrici. Occorre avere una classe operaia ed una massa di salariati non frustrati e ricattati dalle condizioni economiche e sociali di miseria in cui vivono.

riprendere la battaglia salariale per la riduzione d'orario a parità di paga

Per far questo occorre che la lotta economica sia vincente.

Per vincere occorre avere una capacità non locale ma nazionale, persino continentale di mettere al centro questioni di redistribuzione del reddito e di stornare quote crescenti di denaro dalla rendita e dal profitto verso i salari.

Occorre cercare di interrompere il determinismo economico dell’attuale sistema economico e sociale. Ripensare ad una stagione centralizzata di lotte e di azione diretta che ridia speranza e dignità alle classi lavoratrici e speranza nel futuro alle nuove generazioni.

Individuare terreni su cui tutta la capacità organizzativa del movimento operaio può autonomamente svilupparsi e vincere, dimostrando non solo una concreta possibilità di cambiamento, ma una completa alterità di modello economico e sociale.

L’organizzazione operaia, ed intendiamo con tale espressione tutte le strutture sindacali e politiche che si richiamano al movimento operaio, con tutti i suoi naturali alleati, giovani, donne, compreso parte delle classi intermedie, oggi sempre più in fase di pauperizzazione, in questo periodi infausto per i meno abbienti e per i lavoratori, organizzi, per esempio, a livello nazionale (basterebbe in tre o quattro grandi centri metropolitani) spacci alimentari, ambulatori medici gratuiti, da collocare nei territori, usando le Case del Popolo, le sedi sindacali, sedi politiche in cui si dispensino cure di base gratuite.

Imponga, con la costituzione di organismi di quartiere nei centri cittadini, il recupero degli alloggi sfitti contro gli sfratti ed impedisca, con la controinformazione, presidi ed occupazioni non violente e costanti dei terreni, la nuova costruzione di periferie degradate o vere e proprie speculazioni edilizie che rimangono vuote per anni, fino a che non venga ripristinato e bonificato tutto ciò che è già costruito.

Mobiliti forza umana e intelligenza con brigate volontarie per la ricostruzione di quei territori degradati o per esempio alluvionati, adottando e ripristinando piazze e strade.

Crei e sviluppi nei servizi, negli enti locali, organismi di controllo e di vigilanza dei lavoratori contro gli sprechi ed il male affare.

Organizzi nel mondo del lavoro tutto, senza aspettare una legge di rappresentanza, la propria rappresentanza in modo capillare; organizzi autonomamente i referendum consultivi sulle piattaforme contrattuali.

Solo in questo modo sarà possibile determinare rapporti di forza favorevoli e conseguentemente sarà forse anche possibile anche una legge sulla rappresentanza sindacale che non sia escludente delle organizzazioni sindacali e dei compagni e compagne più radicali e che come tutte le leggi cristallizza fenomeni già in atto.

Con una prassi di questo genere sarebbe possibile affrontare anche le più circoscritte e complicate crisi aziendali o i presunti fallimenti e/o delocalizzazioni di attività produttive che all'indomani di questa ennesima crisi sanitaria ed economica si ripresenteranno.

Sarebbe infatti possibile ipotizzare occupazioni ed autogestioni di intere filiere produttive, riposizionando e ristrutturando le stesse capacità produttive di questi siti industriali ai fini di una tale attività pubblica.

Ma una tale strategia seppure necessaria non sarebbe sufficiente a modificare i rapporti di forza fra lavoratori e padronato, unico fattore concreto per una possibile ripresa e miglioramento delle proprie condizioni materiali di vita.

difendiamo i salari

Occorre una robusta e decisa ripresa della battaglia salariale rivendicando al contempo un'altrettanta robusta riduzione d'orario a parità di paga.

Nel documento che abbiamo preso come riferimento a questa nostra discussione un tale obiettivo è fortunatamente indicato così come la riduzione a parità di paga è stata ribadita anche nelle ultime scelte congressuali.

Ma dalla pur dichiarazione cartacea non si imposta mai, proprio per quella contraddittorietà di ruolo indicata negli organismi sindacali, una concreta battaglia a livello nazionale perdendo, oltre che i diritti acquisiti e peggiorando le condizioni sociali dei lavoratori, il possibile e necessario aggancio con le nuove generazioni costrette invece a lavori precari, saltuari se non andare all'estero in una sorta di nuova silenziosa emigrazione rendendo fra le altre impossibile e vano il necessario ricambio generazionale anche nelle strutture politiche sindacali.

Nei settori produttivi tutti, sarebbe necessario riprendere la discussione timidamente avviata a seguito dell'ipotesi del salario minimo garantito, sulla riduzione di quei 800 e più contratti registrati al CNEL, la maggior parte "contratti pirata" che possono avere voci salariali inferiori anche del 20% con un differenziale retributivo annuo che può variare dalle 2000 euro alle 3500 euro; una variazione salariale di due o tre mensilità. (6)

Una neccessità quindi di limitare le differenze salariali quanto meno nelle filiere produttive omogenee ricorrendo anche a robuste rinternalizzazioni di lavoratori oggi precari e sottopagati come il settore delle cooperative nei servizi all'industria o bloccando le finte cessioni di ramo d'azienda, utili esclusivamente a dividere e diversificare le condizioni normative e salariali dei lavoratori.

Infine se questa pandemia ha esplicitato un dato è la necessità di avere una sanità pubblica ed efficiente alla quale non è più pensabile ridurre le risorse a favore di strutture private convenzionate.

infermiere

Prima che tutta la retorica sugli "angeli" del nostro personale sanitario, dei nostri infermieri e dei nostri medici, che pure hanno subito avvenimenti pesanti e luttuosi con centinaia di morti, si spenga occorre una riflessione autocritica da parte della CGIL sul welfare aziendale e sul suo ampio sviluppo nella contrattazione non solo territoriale ma di intere categorie come, per esempio, quella dei meccanici.

Non è più pensabile dopo il corona virus pensare di dare soldi, per altro defiscalizzate da parte dei padroni, alle strutture privater attraverso il welfar aziendale.

Occorre che tutte questi soldi e queste cifre fatte di benefit anche non esclusivamente sanitari, come i buoni benzina per passare alle cure termali, siano rinserite nelle paghe base in modo tale da pesare e contribuire alla future pensioni, così come nel settore specifico sanitario occorre una forte battaglia politica e sindacale per nuove assunzioni, nuove aperture di presidi sanitari territoriali, nuovi medici eliminando il numero chiuso alle facolta universitarie.


NOTE :

(1) La Toscana dopo il coronavirus - di Maurizio Brotini "Sinistra Sindacale" Lavoro Società Sinistra Sindacale Confederale – n 5 del 16 Marzo 2020

(2) Tale prospettiva ben rappresentata negli ultimi anni del Partito Comunista Italiano dalla corrente cosidetta dei "miglioristi" che rappresentavano la destra del partito. Essi erano gli eredi delle posizioni di Giorgio Amendola il quale era orientato verso una forma di socialismo democratico e riformista. Non condividevano la politica sovietica, contrastavano i movimenti di estrema sinistra, e anche le correnti più movimentiste del partito.I miglioristi erano radicati nell'apparato del partito e nella gestione delle cooperative rosse. Furono gli interlocutori privilegiati del Psi di Craxi e del PSDI. Tra gli esponenti di spicco, risultano l'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Nilde Lotti, Napoleone Colajanni ed altri nomi illustri che hanno fatto la storia del partito.

(3) "Dall'emergenza al nuovo modello di sviluppo. Le proposte della CGIL" Aprile 2020

(4) per una ulteriore riflesssione sul polo imperialistico europeo cfr. La voce del Padrone "Socialismo o barbarie" . Foglio aperiodico sez Livorno Lucca di AlternativaLivertaria/FdCA - Marzo 2020

(5) “Vita di Marx. Una biografia rivoluzionaria" Franz Mehring Shake edizioni

(6) Cfr Rivista An° 437 Ottobre 2019 Salario minimo orario e lotta di classe. Cristiano Valente.