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Difesa sindacale n.2
 Bollettino di coordinamento dei Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n.10 aprile ’12


“Per natura tutti eguali  vi è diritti sulla terra.
 E noi faremo un'aspra guerra ai ladroni sfruttator”

(La Marsigliese del Lavoro – L’inno dei Pezzenti- da una poesia di Carlo Ponticelli stampata nel 1881 e musicata intorno al 1895 da G. Vecchi, maestro della banda di Gualtieri, RE.)

Amilcare Cipriani *

 

Nelle ricorrenti  crisi economiche si manifesta la follia e l’inadeguatezza dello sviluppo produttivo della odierna società,  denominata di mercato.
 La distruzione violenta di capitale che le crisi determinano, non in seguito a circostanze esterne a esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente che questa società ha fatto il proprio tempo e che deve (dovrebbe) far posto a un livello superiore della produzione sociale.
Le  crisi  sono, infatti, il modo attraverso cui, periodicamente, il capitalismo risolve i suoi problemi.
Non nasce da imperfezioni del mercato, ma è uno dei più potenti e perfetti prodotti del mercato stesso.
Tali affermazioni sono oggi evidenti ai più.
Anche  chi ancora oggi si ostina a pensare, in buona fede,  che la crisi è il frutto di una finanza cinica e bara dedita unicamente alla speculazione e al facile guadagno, (quadro che  si presenta  verso la fine di un determinato ciclo commerciale apparendo  quindi  come precursore dello stesso crollo economico), non può sfuggire il dato che la speculazione stessa è stata creata nelle fasi precedenti del ciclo economico e quindi rappresenta essa stessa un risultato e un fenomeno e non la ragione ultima della crisi.
C’è ancora qualcuno che si ricorda la metà degli anni ’80, quando file di  pensionati portavano i loro risparmi  alle banche perché  la finanza e la borsa garantivano  lauti guadagni e la febbre dei “borsini” aveva colto anche l’ultimo dei coltivatori diretti ,  salvo vedere poi tutti questi pochi o molti risparmi volatizzati , cioè persi,  a cominciare dal crack Parmalat?
Come è possibile spacciare ancora  la favola di  un sistema produttivo manifatturiero sano,  capace di autoregolarsi  e di un mercato capitalistico quale miglior sistema di allocazione delle risorse,  quando nella odierna crisi viene distrutta ricchezza per decine di migliaia di miliardi di euro e nel giro di pochi mesi nel mondo i disoccupati diventano oltre 230 milioni?
Le innumerevoli statistiche e i dati macroeconomici degli  stessi Centri Studi padronali, governativi o interstatali sono costretti a diffondere e a confermare  vieppiù  l’acquisizione della inadeguatezza del sistema economico e politico mondiale.
Non siamo noi a parlare di sovrapproduzione di merci e di capitali, ma è lo stesso amministratore delegato della FIAT che parla di eccesso di capacità di produzione, per esempio nel settore automobilistico, ed è chiaro ai più che non siamo di fronte alla saturazione mondiale del bisogno di autovetture  per favorire la mobilità.

Non è necessario scomodare il miliardo e più della popolazione mondiale che vive ai limiti della miseria con un reddito pro-capite di 1 dollaro al mese, basta verificare il parco auto italiano per verificare che  l'età media delle nostre vetture è di sette anni e mezzo.

Così come i dati sulla diseguaglianza  di reddito oggi fortemente polarizzata a livello mondiale enormemente  cresciuta in  questi ultimi 30 anni e come a partire dai primi anni 90 una quota considerevole, pari al quasi il 10% del PIL si è spostata dai salari ai profitti. 
Oppure i dati che con cinismo contabile confermano l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario.
Ciò nonostante si continua a cianciare di equità dei sacrifici e da parte delle forze politiche e sindacali che dovrebbero difendere gli interessi dei lavoratori  non vi è alcuna  chiara  e netta indicazione di lotta che possa  invertire i rapporti di forza  fra le classi .
Una recentissima indagine del Credit Suisse individua in circa 24 milioni di persone a livello mondiale i detentori del 35% della ricchezza totale del mondo.
Fra questi 24 milioni  il 6% sono italiani. Circa 1,5 milioni di persone che hanno a disposizione 1 milione di dollari minimo, anche se l’entità media è considerevolmente più alta.
Se solo a questi super ricchi fosse stato assoggettato una risibilissima patrimoniale permanente di 3000 euro in media  si sarebbero raccolti 4,5 miliardi l’anno.
Una cifra grosso modo equivalente ai tagli della pensione dei lavoratori dipendenti decisi dal governo Monti.

Resistere un minuto di più del padrone

E’ evidente che le condizioni economiche e sociali durante una crisi, come l’attuale, difficilmente possono favorire conquiste ulteriori  ed è altrettanto evidente che il ricatto economico indebolisce il tessuto unitario dei lavoratori impedendo significativi avanzamenti, ma occorrerebbe attestarsi su alcuni obiettivi e non cedere.
“Resistere” , appunto “un minuto più del padrone”.
Occorrerebbe avere la consapevolezza che anche le sconfitte  possono sedimentare  coscienza, strutture organizzative, memoria che  possa servire anche alle nuove generazioni, non trovarsi cioè, per le classi meno abbienti, nell’acquisizione e nelle rivendicazione dei propri diritti a ricostruire una memoria oramai dimenticata e inevitabilmente a ripercorrere gli stessi errori
Un vecchio internazionalista avrebbe parlato di necessaria acquisizione, tramite il conflitto e quindi anche subendo sconfitte, del necessario passaggio della coscienza della  classe lavoratrice “in se” a classe “per se”.
Non è scritto in nessuna “tavola della legge”  che occorre trovare sempre una mediazione con l’avversario.
La cosi detta mediazione trovata sull’art. 18 è in realtà, se verrà così confermata dal dibattito parlamentare previsto,  la frantumazione dell’ultimo mattone di quel fortino che impediva la totale avanzata delle classi padronali,  determinando invece una ritirata disordinata delle masse lavoratrici .
La lotta di classe vede momentaneamente vincente i padroni i quali sanno bene che prima o poi le loro sorti potranno cambiare e quindi tentano di colpire a fondo le conquiste ed i diritti dei lavoratori,  per disporre di una forza lavoro sempre più ricattata, indebolita, supina .
E evidente a tutti  che l’articolo 18 non centra nulla con la crisi, che è mondiale, nè con la reale possibilità di una maggiore occupazione giovanile.
Non c’è solo Marchionne o la Marcegaglia nel gioco delle parti , ma gli stessi dirigenti pubblici giocano a fare i veri padroni.
Ecco cosa dice il Direttore delle Risorse Umane di una delle più grandi aziende italiane a capitale totalmente pubblico in una lettera aperta a tutti i suoi dipendenti:
“l’ostacolo più impegnativo da superare è l’ormai insostenibile differenziale di produttività e di costi oggi esistente tra noi e i dipendenti delle imprese concorrenti ….  l’insieme di tali circostanze pone a rischio la certezza di poter garantire … la continuità del nostro gruppo e di conseguenza il mantenimento del reddito, dell’occupazione e del progetto di vita che ciascuno di noi ha fondato sul proprio lavoro.
E’ inimmaginabile sostenere la competizione quando si lavora di meno e si costa di più”
Da cui si deduce che per questo scienziato dell’economia, pagato con i  contributi pubblici (quindi con le nostre tasse)  l’unica alternativa è lavorare di più e costare di meno.
Ma il sapere dello scienziato non finisce qui.    Siccome questo grande gruppo è in  fase di rinnovo  contrattuale, essendo quello vecchio scaduto oramai nel 2009,  ecco che con fare da vero gesuita afferma:
“…. nessuno ha intenzione di proporre la riduzione dell’attuale retribuzione .Ciò che serve e che con forza chiediamo al sindacato per il rinnovo del CCNL …(è)  .. un significativo recupero di produttività e di flessibilità, incentivando meccanismi e istituti retributivi premianti.” (se a qualcuno, forse più anziano viene in mente il cottimo non è lontano dal pensiero di tale scienziato del lavoro)
E ribadendo, sempre gesuiticamente,  che pur non avendo nessuna intenzione di proporre la riduzione dell’attuale retribuzione (bontà sua) conclude:
“ove non si realizzassero le flessibilità di impiego e la maggiore produttività che consentano …. di fronteggiare la sfida competitiva, verranno meno inevitabilmente le condizioni necessarie a garantire la stabilità che ha finora caratterizzato i nostri rapporti di lavoro”.
Se queste sono le argomentazioni in strutture produttive nazionali sostanzialmente pubbliche, figuriamoci come parlano e soprattutto come operano i padroni privati e quella pletora di padroncini che rappresentano oltre l’80 % del nostro tessuto produttivo.
A fronte di queste cose parlare ancora di sacrifici e di equità diventa risibile, se non fosse drammatico per le sorti e nella vita reale dei lavoratori che hanno ancora un lavoro, per non parlare di quelli che l’hanno perduto o che lo perderanno e per finire alle nuove generazioni che oltre a non trovare alcun impiego sanno con certezza che la loro vecchiaia sarà una vecchiaia da poveri.
Occorre vincere una battaglia per ridare fiducia al movimento.
L’art. 18 poteva e può sempre essere una forte spinta per risalire la china. Male per questo ha fatto la Segreteria della CGIL ha dare un giudizio sostanzialmente positivo sulla mediazione del PD.
Tutti affermano, a partire da Monti che la parola reintegro è sola appunto una parola, ma che nella realtà l’ipotesi governativa apre ai licenziamenti individuali.
Occorre che larghi settori di lavoratori, RSA e RSU la dove ancora esistono prendano posizione contro la modifica della Legge 300 Statuto dei lavoratori e che si costringa l’intera confederazione a una rivalutazione del giudizio espresso.
Oltre l’articolo 18 c’è inoltre necessità di individuare alcuni obiettivi minimi, ma realistici su cui mobilitare l’intera massa dei lavoratori.
Non è più tempo di battaglie parziali, settoriali, di categoria. L’attacco è globale e la risposta deve essere altrettanto generale.
Ci sono, da oltre quattro mesi tre ferrovieri arrampicati a cinquanta metri su una torre faro dentro la Stazione di Milano che protestano contro la soppressione dei treni notturni e contro il licenziamento di altri 800 lavoratori addetti come loro a questi treni ed a questi viaggi.
E’ mai possibile che si lascino da soli a combattere per di più contro un “padrone” pubblico.

* Iscritto Cgil