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Convegno 2 aprile 2011

MEMORIA

 

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CGIL - XIX° Congresso

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Difesa Sindacale

LA COMPONENTE ANARCHICA NELLA
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA
DEL LAVORO (1944 - 1960)

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Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL

«Un amatissimo eroe operaio».

Pietro Ferrero

Paolo Papini

Pietro ferrero

A cento anni dal suo assassinio vogliamo ricordare il compagno Pietro Ferrero, operaio anarchico segretario della FIOM torinese dal Biennio rosso fino all’avvento del fascismo, del quale cadde vittima con altri dieci lavoratori nella strage di Torino del 18 Dicembre 1922.

Una figura esemplare di militante e di dirigente del movimento anarchico e del movimento operaio.

Un proletario che comprese a fondo, attraverso l’esperienza di fabbrica, nel sindacato e per mezzo dello studio, l’importanza dell’unità di classe, dell’unità delle forze rivoluzionarie e dell’unità dell’organizzazione anarchica, facendone le proprie ragioni di vita. Un uomo modesto, saldo e sereno, un comunista anarchico la cui coerenza, intransigenza e concretezza politica sono una bandiera ancora oggi.

Parlare oggi della figura di Pietro Ferrero, riproponendo l’attualità della sua esperienza politica e sindacale, è un modo per riaffermare la politica quale processo che vuole dare teoria, strategia, programma e organizzazione – e quindi speranza – alle forze divise, frantumate e sparse sul piano degli attuali rapporti sociali di produzione, per tentare di ricomporre quei settori che agiscono in senso anticapitalistico, nell’unica grande risultante della lotta di classe, un concetto attuale e dinamico che rivendichiamo e riproponiamo con orgoglio.

Alle commemorazioni, se pure utili, devono seguire le riflessioni e le analisi volte a chiarire i contesti, lo sviluppo e le prospettive dell’azione di classe che, per assumere un ruolo credibile nel superamento dell’attuale sistema capitalistico, devono avere solide basi nella memoria del movimento operaio e sindacale.

Pietro Ferrero fu un militante politico e sindacale come molti altri che, nella Torino operaia di un secolo fa, votarono le loro energie fisiche e intellettuali alla causa dell’emancipazione proletaria e, quindi, di tutta l’umanità.

Il loro non fu solo un afflato dettato da motivazioni etiche e morali, ma un intendimento preciso perseguito con tenacia e fissità, fino alle conseguenze più estreme.

La scelta sindacale fu per questi compagni inevitabile, poiché inevitabile era il confronto con i lavoratori sul loro piano medesimo, e questo confronto non poteva che iniziare sul terreno dei bisogni unitari, quelli che quotidianamente accomunano i lavoratori quali basi dell’unità di classe.

Riproporre queste tragiche vicende e documentare come il fascismo colpì al cuore i lavoratori e le loro organizzazioni politiche e di massa significa anche, nel centenario della marcia su Roma, realizzare uno sforzo di analisi per inquadrarle nella fase attuale, al fine di ricavare le indicazioni da tradurre nell’azione politica e sindacale dell’oggi.

In questo senso la presente pubblicazione non vuole essere agiografica ma intende ripercorrere il filo rosso, mille volte interrotto e mille volte riannodato, della militanza proletaria per mostrare, soprattutto alle giovani generazioni, che nello scenario che ci troviamo di fronte non ci sono solo politici populisti e burocrati sindacali che non immaginano altro mondo che quello regolato dalle leggi del profitto, ma anche figure significative il cui insegnamento può e deve essere ricomposto in una spinta capace di sostenere le nuove energie verso un processo di emancipazione dal bisogno, per una società più libera ed egualitaria.


 

I lavoratori e le lavoratrici

devono ritornare ad essere protagonisti

La mobilitazione non può essere

continuamente rimandata


La Cgil, nell’ultima Assemblea Generale del 4 novembre, ha deciso di effettuare assemblee nei posti di lavoro e manifestazioni giudicando negativamente i contenuti della legge di bilancio, e di conseguenza ha interrotto il percorso che doveva portare a metà dicembre del corrente anno alla assemblea organizzativa nazionale. Per quanto ci riguarda le decisioni prese sulla mobilitazione, che pure in mancanza di risposte da parte del Governo non escludono il ricorso allo sciopero generale nella metà di dicembre, sono insufficienti e tardive rispetto alla situazione vissuta nei luoghi di lavoro, ai licenziamenti, alla mancanza di sicurezza, ai salari. Una situazione che risulta aggravata dalla pandemia in atto e dalle tensioni createsi nella società sul green pass, con un clima di cui hanno approfittato i fascisti fino al gravissimo assalto contro la sede nazionale della Cgil.

E’ vero che gli scioperi generali vanno costruiti, ma è anche evidente che da tempo c’erano tutte le condizioni per mobilitarsi come veniva chiesto con forza dalla scorsa estate dai lavoratori e lavoratrici di tante fabbriche in crisi, non ultima la GKN di Campi Bisenzio. Evidentemente fino ad oggi nella direzione della Cgil ha prevalso la volontà di non dispiacere alle forze parlamentari “amiche” e di non disturbare troppo il “manovratore”, evidenziando così una subalternità al Governo, come del resto era emerso nell’accordo sullo sblocco parziale dei licenziamenti e nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico. Bene ha quindi fatto la Fiom che senza perdere altro tempo ha proclamato un pacchetto di otto ore di sciopero da gestire a livello territoriale.

Come detto nell’Assemblea generale è stato deciso di spostare in avanti la fine del percorso della assemblea organizzativa, e questo quando le assemblee generali delle strutture provinciali di categoria e confederali avevano già concluso le loro riunioni sul documento proposto dal direttivo nazionale, mentre dovevano ancora svolgersi quelle delle strutture nazionali di categoria e confederale. Un appuntamento quindi rilevante, benché fosse iniziato e proseguito in modo del tutto staccato da una realtà esterna sempre più complessa ed in fermento. Il documento della assemblea organizzativa non prevedeva una votazione da parte delle varie strutture, ma solo una discussione con eventuali proposte, modifiche, integrazioni, su ognuno dei temi contenuti nelle undici schede che lo componevano. Non è certo nostra intenzione ripercorrere minuziosamente tali schede, che toccano anche aspetti organizzativi come la formazione, la digitalizzazione, la comunicazione, ma riteniamo comunque opportuno fare delle considerazioni in merito ad alcune di queste.

Innanzitutto sul tesseramento che si è chiuso nel 2020 con oltre cinque milioni di iscritti, ma che ha visto un calo dell’1% rispetto all’anno precedente; lo stesso documento evidenzia che il calo dei tesserati è un tratto costante, con circa trecentomila iscritti in meno negli ultimi venti anni (quindi oltre il 5%). Certamente una parte di questo risultato negativo è dovuto alle conseguenze della grave crisi economica iniziata nel 2008, alle pesanti ristrutturazioni nel sistema produttivo con l’introduzione di processi informatici, alla pandemia in atto ormai da circa due anni, ma questo non è sufficiente se non si alza lo sguardo e non si vede il distacco del sindacato da molte realtà di lavoro, dai bisogni e dalle difficoltà in cui vivono milioni di lavoratori e lavoratrici. Una distanza questa che non può essere colmata da soluzioni tecniche sul tesseramento, ma solo “politiche”, cambiando gli obiettivi perseguiti ed il modo di rapportarsi con i lavoratori, spostando le risorse in basso e dando ai delegati e delegate un reale potere nella contrattazione, nella formazione delle piattaforme contrattuali, nei percorsi decisionali a tutti i livelli. Di questo abbiamo forti dubbi visto che, nonostante alcuni buoni propositi, è in costante aumento il verticismo all'interno dell'organizzazione dove la struttura decisionale è sempre più accentrata sulla figura dei Segretari e visto che anche il ruolo politico degli stessi Comitati Direttivi confederali è spesso scavalcato dai cosiddetti Esecutivi dei Segretari (livello, tra l'altro, non previsto dallo Statuto).

Quello delle risorse è un problema crescente in Cgil dove la struttura organizzativa, per molti aspetti sovradimensionata, si scontra con un calo di disponibilità economiche che si riflette anche sulla possibilità di avere le libertà sindacali richieste dall’apparato. La cosa è soprattutto evidente nell’apparato confederale (meno nelle categorie) e rende problematica l’intenzione che traspare di trasferire competenze e ruoli alle Camere del Lavoro, pur nel rispetto di quelli delle categorie; questo tra l’altro è un obiettivo che era emerso anche nelle Conferenze di organizzazione del 2008 e del 2015 ma che non ha avuto attuazione. Il problema delle risorse viene affrontato in modo burocratico prevedendo eventuali accorpamenti di strutture provinciali sia di categoria che di territorio, il tutto per garantire al momento la sostenibilità economica e la collocazione dei dirigenti ma senza curarsi troppo delle conseguenze nel rapporto con i lavoratori e le lavoratrici. Non vengono invece presi in esame i possibili ridimensionamenti delle strutture regionali e nazionali che permetterebbero di liberare risorse veramente utili per i delegati e le strutture territoriali.

Per quanto riguarda i contratti, un tema che tra l’altro ci sembra più congressuale che organizzativo, occorrerebbe intanto una seria riflessione sul welfare contrattuale che contribuisce a depotenziare la universalità del servizio sanitario e sociale pubblico. Inoltre, se è vero che l’attacco alla contrattazione collettiva è forte, è altrettanto vero che senza una reale mobilitazione e significative lotte diventa solo una chimera la riduzione dell’esorbitante numero dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (in alcuni casi proliferati anche per demerito degli stessi sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil) ed il contrasto ai “contratti pirata” siglati da organizzazioni padronali con sindacati gialli. Lasciare tutto questo in mano ai percorsi legislativi ed alla rappresentanza parlamentare è quanto meno riduttivo, se non deleterio. Servirebbe invece una mobilitazione per rilanciare le lotte che sono l’unica garanzia per la classe lavoratrice, una mobilitazione su pochi obiettivi chiari e comprensibili a tutti: riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga, forti aumenti salariali, sicurezza nei posti di lavoro da perseguire anche con la difesa degli RLS sempre più esposti al ricatto occupazionale.

Questi aspetti politici l’assemblea organizzativa non li affronta, anche per la sua natura, ma restano lì sul cammino accidentato del sindacato. Non è comunque chiaro, quando riprenderà il percorso interrotto, chi farà la sintesi degli emendamenti e delle proposte che sono scaturite nelle varie strutture in merito al documento che era stato proposto. Il dubbio, anche se a pensare male si fa peccato ma spesso ci si prende, è che la struttura burocratica nazionale abbia tutto predisposto per far passare determinate misure organizzative e di ristrutturazione interna secondo una logica già decisa, ma con una validazione data dal percorso effettuato. Se così fosse, la dirigenza della Cgil avrebbe sbagliato i suoi calcoli perché tutte le problematiche – anche organizzative - che sono di fronte al sindacato resterebbero in piedi, ed anzi risulterebbero aggravate da un appuntamento importante ma mancato.

novembre 2021

Difesa Sindacale